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  • Immagine del redattoreMaurizio Baratello

AUTONOMIA DIFFERENZIATA E FEDERALISMO FISCALE

Gli argomenti oggetto di trattazione odierna riguardano le autonomie locali e la realizzazione del federalismo fiscale.

Ampliamo il dibattito in corso cercando di fornire un utile contributo al desiderio di riforma.

Il concetto di autonomia locale trova la sua applicazione nelle funzioni e compiti riconosciuti agli enti locali per avvicinare le istituzioni al cittadino.

Serve puntualizzare l’affermazione che gli enti locali costituiscono nel loro insieme l’ente sovrano dello Stato (Titolo V Costituzione) distinguendo l’autonomia politica quale consonanza di fini politici da seguire, l’autonomia statutaria, legislativa, amministrativa e finanziaria nel senso di imporre tributi propri.

L’articolo 5 della Costituzione se da un lato evidenzia “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali (14 ss.); attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento” dall’altro fa emergere l’esigenza di integrare l’assetto costituzionale con innovazioni tese a dare consistenza all’autonomia locale.

In questo periodo si parla molto di autonomia regionale differenziata per la quale la maggior parte dei cittadini continua a ignorare decisioni che incideranno profondamente sull’assetto istituzionale del Paese, sulla vita delle persone, sul rapporto tra Nord e Sud, sulle disuguaglianze sociali, sulla disparità dei diritti e sulle conseguenze senza un cambiamento della proposta. Nel frattempo, adopererò a far conoscere la norma proposta per accendere un dibattitto in grado di produrre modifiche per evitare nuove negatività in seno alle singole regioni. In questo articolo propongo una serie di quesiti che possono aiutare a comprendere tutta la portata del cambiamento che si sta preparando senza alcun dibattito pubblico e trasparente.

Cosa si intende per autonomia differenziata

E’ l’attribuzione di una specificità ad un territorio con il riconoscimento alla regione a statuto ordinario, di potestà legislativa per le materie di legislazione concorrente e/o per tre di quelle di competenza esclusiva dello Stato. Ma ciò che più interessa le regioni è che, alla attribuzione della potestà legislativa, è connesso il trasferimento delle risorse finanziarie.

Il gettito fiscale da trattenere

Ogni territorio si tratterrà delle risorse provenienti dal gettito fiscale regionale prodotto dai residenti, siano esse aziende o cittadini. Il governatore Zaia ha chiesto per il Veneto di trattenere il 90% del gettito fiscale prodotto nel suo ambito regionale. E ciò la dice tutta in quanto non confluirebbero nelle casse erariali statali circa 41 miliardi. Se passasse questo criterio lo Stato perderebbe circa 100 miliardi di entrate erariali dalla Lombardia mentre dall’Emilia Romagna la perdita statale sarebbe di circa 43 miliardi. Le entrate effettive di gettito fiscale statale passerebbero da 750 miliardi a 560 miliardi con una perdita secca di 190 miliardi. Potestà legislative Prima si parlava di assegnazione di competenze legislative che potrebbero essere assegnate alle regioni, su loro richiesta, in ottemperanza all’art. 117, comma 3 della Costituzione, ma quali potrebbero essere le materie a legislazione concorrente:

  • rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. 

A tali ambiti le regioni possono chiedere di associare ulteriori tre materie attualmente di competenza esclusiva dello Stato: “giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.

Quali sono le regioni richiedenti

In prima istanza erano tre: Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna hanno chiesto il trasferimento di potestà legislative e di risorse finanziarie. Il Veneto ha chiesto tutte le 23 materie previste dall’articolo 116 comma 3 della Costituzione; La Lombardia 20 (escluse solo: l’organizzazione della giustizia di pace; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale), l’Emilia-Romagna 16 (non ha richiesto: professioni; alimentazione; porti e aeroporti civili; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale). Successivamente anche la Campania ha chiesto che sia avviata l’istruttoria per alcune materie.

I vantaggi alle singole regione dell’autonomia con competenze specifiche

I favorevoli all’Autonomie Differenziate affermano che l’autonomia di gran parte del gettito fiscale nel territorio dovrebbe comportare maggiore efficienza ed efficacia nella realizzazione di servizi per i cittadini di ciascuna regione, come se la quantità e qualità dei servizi ai cittadini non dipendesse dalle scelte, ma dalla disponibilità economica. Mi pare una scarsa valutazione e una pochezza di idee come dire: voglio l’autonomia a prescindere senza un vero e proprio ragionamento politico e di servizio.

E i vantaggi per il Paese

Se è vero che ogni autonomia differenziata comporta sottrazione di notevoli risorse finanziarie allo Stato e quindi alla collettività nazionale ed una contestuale diversa attuazione di programmi di servizi e infrastrutture logistiche (porti, aeroporti, strade di grande comunicazione, reti di distribuzione dell’energia, ecc.) che per loro natura non possono che avere una dimensione nazionale ed una struttura unitaria, è altrettanto vero che neanche le stesse regioni con autonomia differenziata traggono vantaggi perché

  1. il meridione è un mercato essenziale per il settentrione

  2. perché nelle stesse regioni “ricche” le condizioni interne tra le varie realtà territoriali non sono omogenee mentre in quelle più svantaggiate non arriverebbero compensazioni statali anzi, nell’ottica dell’efficienza, andrebbero alle parti già più ricche e meglio organizzate, secondo la stessa logica.

  3. una regione non ha alcuna possibilità di affrontare la competizione globale.

Capire le esigenze del territorio regionale

Avendo a disposizione più risorse a scapito delle altre regioni distribuite sul territorio nazionale, i veneti, i lombardi e gli emiliani possono beneficiare, nel breve periodo, di un maggior benessere ma al di là della violazione del principio di solidarietà sociale ed economica, al crollo sociale ed economico dei territori svantaggiati, non può che conseguire una crisi dell’intero sistema Paese.

I vantaggi delle regioni svantaggiate

Il beneficio sta tutto nella potestà legislativa che acconsente un rafforzamento del controllo politico dell’elettorato e la gestione diretta delle risorse.

Differenze tra cittadini del nord e del sud

Come noto, il divario tra nord e sud è molto forte: un cittadino del Centro-Nord è motivo di spesa statale di Euro 17.621,00 mentre per un cittadino meridionale la spesa statale è di Euro 13.613,00. Detto ciò, qualora lo Stato decidesse di spendere la stessa cifra pro-capite senza ridurre risorse al Nord, dovrebbe stanziare circa 80 miliardi in più per il Sud. Come detto, l’autonomia differenziata solo per gli accordi con il Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, depaupererebbe le casse dello Stato per circa 190 miliardi che rientrerebbero nel bilancio di Veneto per 41 miliardi, nel bilancio della Lombardia per 106 miliardi ed in quello dell’Emilia Romagna per 43 miliardi aggravando il divario tra Nord e Sud con meno ospedali, meno scuole, meno infrastrutture, meno asili, meno musei e università, laddove già oggi mancano e senza alcuna possibilità perequativa.

I Lep

I Lepsono i livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi che devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. Infatti, riguardano diritti civili e sociali da tutelare per tutti i cittadini. La definizione dei Lep in alcuni casi è implicita in norme già vigenti. Per fare un esempio, la presenza dell’anagrafe in ciascuno dei quasi 8.000 comuni italiani è (con le dovute cautele) assimilabile ad un livello essenziale delle prestazioni. Si tratta infatti di un servizio connesso con diritti e servizi fondamentali per la cittadinanza e quindi non sarebbe accettabile se in alcuni territori non venisse erogato.

Esistono quindi una serie di ambiti in cui la legge dello Stato, nel corso dei decenni, ha affidato o delegato agli enti territoriali determinati compiti in relazione ai quali sono tenuti a garantire il servizio.

In una serie di altri settori invece non sono ancora stati individuati i livelli del servizio da garantire. Sono i servizi erogati in modo disomogeneo sul territorio nazionale (come quelli sociali e socio-educativi). La costituzione, all’art. 117 c. 2, lettera m, affida allo stato, come competenza esclusiva, il compito di definire i Lep:

“Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (…) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

Al netto di quelli già impliciti nelle normative vigenti, sono ancora molti i settori in cui i Lep devono essere definiti, dai servizi sociali al trasporto locale. Ciò rappresenta una questione istituzionale di primaria importanza, perché significa che il dettato costituzionale resta inattuato su un punto dirimente. Il motivo, come approfondiremo, è che dalla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni consegue necessariamente un aggravio di spesa per le casse dello stato.

Come stabilito dalla legge delega sul federalismo fiscale (42/2009), c’è infatti un rapporto diretto tra la definizione dei Lep e la determinazione di costi e fabbisogni standard da riconoscere ai comuni e agli altri enti locali.

In concreto, significa che se lo stato definisce un livello essenziale delle prestazioni, deve anche garantire a comuni, province, città metropolitane e regioni le risorse necessarie per poterli erogare. In particolare, a quelli meno dotati di risorse in quanto territori a bassa capacità fiscale.

Altrimenti solo i comuni con maggiori risorse proprie potrebbero essere in grado di garantire i servizi previsti dai Lep, entrando di fatto contraddizione con il dettato costituzionale. Tant’è che l’art. 3 della Costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

La determinazione dei Lep è un punto dirimente per il nostro paese e per i cittadini in quanto risponde a due esigenze fondamentali:

  1. individuare, per ciascuna materia (salute, istruzione, assistenza sociale, trasporti), uno standard adeguato di prestazioni e servizi che deve essere garantito su tutto il territorio nazionale;

  2. garantire a comuni, province, città metropolitane e regioni le risorse necessarie per erogare i servizi oggetto di Lep.

A ciò si deve aggiungere che da un punto di vista metodologico non è affatto semplice tradurre i diritti civili e sociali da garantire ai cittadini in indicatori e livelli di prestazioni effettivamente misurabili. Si tratta infatti di un processo che comporta una serie di passaggi non banali:

  1. mappatura dei servizi erogati sul territorio da ciascun ente;

  2. identificazione dei servizi in cui è necessaria la determinazione dei Lep;

  3. valutazione dei livelli di spesa e dei servizi erogati per i settori interessati dai Lep;

  4. determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, in modo da stabilire se le risorse a disposizione dell’ente sono sufficienti per erogare il servizio in questione. In caso contrario, per calcolare a quanto ammontino le risorse aggiuntive.

Il punto chiave è che per lo stato non basta stabilire delle soglie adeguate sui servizi (ad esempio, se parliamo di servizi prima infanzia, il numero di posti offerti ogni 100 bambini residenti) ma anche verificare che le risorse a disposizione degli enti siano sufficienti, e in caso contrario riconoscerne di aggiuntive. Introdurre i Lep è infatti necessario anche per garantire l’offerta di un adeguato standard o livello di servizi. E ciò ha evidentemente un costo: si pensi ai servizi con maggiore disomogeneità sul territorio nazionale, come gli asili nido e i servizi socio-educativi per la prima infanzia: 89% i comuni dell’Emilia Romagna che offrono servizi prima infanzia nel 2019 mentre in Calabria nello stesso anno sono il 22,8%.

La diffusione del servizio comune per comune è fortemente eterogenea. In base ai dati Istat relativi al 2019, vi sono infatti comuni che superano ampiamente i 50 posti ogni 100 bambini mentre in altri comuni il servizio non è presente o molto più limitato.

Questo caso esemplifica bene come l'individuazione di un Lep da garantire sull'intero territorio nazionale implichi la necessità di ridurre i divari sul territorio stesso con l’erogazione di risorse aggiuntive da riconoscere da parte dello stato.

In considerazione che i Lep non sono stati ancora definiti e comunque per ridurre i divari territoriali, nel 2019 è stata avviata una prima normalizzazione e nel 2021, sono stati introdotti gli obiettivi di servizio (Os).  Se in passato poteva capitare che un comune si vedesse riconosciuto un fabbisogno pari a 0, ad esempio sui servizi prima infanzia, adesso, grazie alle revisioni metodologiche approvate dalla commissione tecnica per i fabbisogni standard, tutti i comuni si vedono riconosciuti dei livelli di copertura minimi. Dapprima sugli asili nido, poi sui servizi sociali comunali (Legge di bilancio 2021, art. 1 commi 791 e 792).

Non siamo ancora ai livelli essenziali delle prestazioni, ma ad un livello minimo che tutti i comuni dovrebbero conseguire nell'erogazione di un servizio. Per raggiungerlo, il fondo di solidarietà comunale, istituito nel 2013 come diremo infra, è stato incrementato sia per lo sviluppo dei servizi sociali che per il potenziamento degli asili nido.

Si deve tener presente con il FSC Il Fondo di Solidarietà Comunale è il Fondo finalizzato ad assicurare un'equa distribuzione delle risorse finanziarie ai comuni ed è alimentato con una quota del gettito IMU di spettanza dei comuni stessi. Come si accennava, il FSC è stato istituito nel 2013 come parte del disegno complessivo inerente al federalismo municipale, ovvero nel momento in cui il rapporto finanziario tra Stato ed enti locali veniva profondamente ridisegnato attraverso la soppressione dei tradizionali trasferimenti statali e la loro sostituzione con entrate proprie e con risorse a carattere perequativo. Il Fondo di Solidarietà Comunale è un pezzo essenziale dell’architettura federalista del nostro sistema fiscale e, il progressivo aumento della quota ripartita secondo il sistema dei fabbisogni standard - capacità fiscale, è cruciale al fine di operare il definitivo superamento del criterio della spesa storica. Il legislatore ha infatti previsto che la quota perequativa sia incrementale per percentuali via via maggiori fino a coprire il 100% delle risorse nel 2030. In questo modo il sistema della finanza locale migliora la sua capacità di allocare equamente le risorse ottimizzandone l'impiego.

Attraverso la pubblicazione dei dati FSC su OpenCivitas cittadini, amministratori, parti sociali e mondo dell’informazione possono aggiungere un tassello di conoscenza al bagaglio condiviso che qualifica l’esercizio consapevole della cittadinanza.

Ciò detto, lo Stato ha stanziato 326 milioni annui di incremento del Fsc a decorrere dall'anno 2026 per il potenziamento degli asili nido. Tra 2021 e 2025 l'incremento sarà in media di quasi 200 milioni all'anno.

A oggi, la definizione dei Lep resta uno degli aspetti più rilevanti che mancano per l'attuazione del federalismo fiscale. Un'urgenza rilevata anche nel corso del monitoraggio sull'attuazione della legge sul federalismo fiscale, in sede parlamentare.

Il mancato esercizio del potere di delegazione legislativa e dei decreti legislativi ha riguardato alcuni importantissimi settori: la definizione dei Lep per i beni e servizi pubblici comunali ai fini della relativa perequazione integrale; la definizione dei fabbisogni standard e dei Lep per le regioni (...) si legga la Relazione parlamentare sull’attuazione della legge 42/2009, 24/10/2019 - pag. 89.

Con una spesa paritetica per ogni cittadino italiano, l’autonomia differenziata più o meno controindicazioni

È un'eventualità utopistica, in quanto sono proprio i conti pubblici a non garantire sia il tratteni-mento delle risorse nelle regioni rese autonome che la contestuale perequazione tra i cittadini e territori. Inoltre, l’autonomia differenziata da una parte contraddice e nega il principio di eguaglianza formale e sostanziale, dall’altra frammenta la naturale unitarietà funzionale delle infrastrutture del Paese, beni comuni della Repubblica, e dunque essa, anche al di là della disuguaglianza delle risorse economiche, crea disuguaglianze formali e sostanziali ed incide sulla funzionalità (e sulla competitività) delle grandi infrastrutture logistiche.

Il Veneto, l’autonomia e i porti

I porti di grande traffico non possono che rimanere nazionali, come è loro natura e come appare evidente dal fatto che le navi battano bandiera nazionale. Diverso discorso si può fare per i porti minori, soprattutto turistici, quelli che non vedono traffico internazionale e che potrebbero anche essere gestiti dalle regioni, e dalle articolazioni decentrate dello Stato, tenendo sempre fermo il concetto funzionale e di interesse pubblico, poiché ogni porto deve essere un luogo sicuro per la sicurezza delle navi e della vita umana in mare.

L’autonomia differenziata è anticostituzionale?

Lo è certamente se la richiesta della Regione di potestà legislativa in una materia non risponde ad una necessità di adattare l’ordinamento a reali specificità territoriali. In questo senso, ed entro tali limiti, l’articolo 5 della Costituzione ammette che si limiti la unitarietà dell’ordinamento statale, l’eguaglianza formale dinanzi alla legge, per conformarsi ad esigenze particolari del territorio. Diversamente, si tratterebbe in modo diseguale ciò che diseguale non è, e sappiamo che, trattare in modo eguale situazioni diverse è ovviamente incostituzionale, ma anche che è allo stesso modo incostituzionale ed ingiusto trattare in modo diverso situazioni uguali.

In definitiva, sono inammissibili, almeno per violazione del principio di eguaglianza, di unitarietà e di solidarietà economico sociale, le richieste di potestà legislativa autonoma che non si fondano su reali peculiarità territoriali che vanno verificate in concreto.

Non sarebbe corretto estendere alle altre regioni le prerogative che hanno già le regioni e province autonome?

No, perché la Costituzione distingue le regioni a statuto speciale rispetto a quelle a statuto ordinario riconoscendo le specificità di quei territori, quindi non è possibile equiparare tout court tali regioni e province autonome con le altre.

Questa desidera essere una semplice sintesi di ciò che sta per discutere il Parlamento ma è anche un modo per aprire un dibattito serio nel nostro Paese.

Venezia, 24 febbraio 2023

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