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  • Immagine del redattoreMaurizio Baratello

IL FALLIMENTO DI SILICON VALLEY BANK E L’OMBRA DEL 2008

Aggiornamento: 13 mar 2023

“O forse fu per gioco o forse per amore” così recita una canzone di Lucio Dalla, fatto sta che Silicon Valley Bank è nata come scommessa sul futuro in nome del “tech” e forse, proprio per il modo in cui è stata concepita, avrebbe dovuto mettere in guardia i suoi clienti, sul suo destino marcato e di difficile permanenza.


Per circa quarant'anni era stata l'angelo custode dei sognatori, degli idealisti e/o forse degli utopici di inventare il nostro futuro digitale e proprio loro avevano la necessità che qualcuno credesse e appoggiasse quel mondo visionario, mettendo a repentaglio o a forte rischio della liquidità affinché il sogno potesse divenire un di’ realtà.

Rischio calcolato o fine a se stesso. In questi giorni stiamo vivendo l’epilogo. L’elezione di Ronald Reagan alla Presidenza, portò una ventata di novità sul panorama nazionale Usa. Da quel 20 gennaio 1981 in poi cominciarono a cambiare molte regole anche nel settore bancario, allentando una rigidità che aveva sempre caratterizzato il settore, dando credito e diffondendo l’idea forte per nuovi investimenti e nuove iniziative.

In quel contesto, nacque l’idea visionaria di Robert Medaris e Bill Biggerstaff di fondare una banca per garantire liquidità agli investimenti in nuova tecnologia. Lo stesso Dave Elliot e Roger Smith decisero di investire nel progetto in quanto la realizzazione di una banca a supporto degli investimenti in progetti rivoluzionari, la ritenevano un’idea molto interessante.


E fu così che nacque l’idea di creare fiducia perché solo la fiducia poteva rappresentare un “cantiere di denaro. Le attività erano promettenti sulla carta, nei progetti prima che generassero profitti. Il primo ufficio lo aprirono lungo la North First Street di San Josè e successivamente a Palo Alto. La strategia fu proprio quella di mettere gli investitori di venture capital in contatto con gli imprenditori, per aiutarli nella fase di avvio delle singole start up. Questa idea forte di avviare le start up era supportata dalla consapevolezza che più funzionavano e più si estendevano, avrebbero dovuto rivolgersi alle grandi banche tradizionali per crescere, ponendo fine alla mission della Silicon Valley Bank. La maggior parte delle istituzioni finanziarie commerciali cominciarono a ragionare su progetti reali e non su idee fantascientifiche. E quindi non cercarono mai di sponsorizzare le fantomatiche promesse. E fu così che nella Silicon Valley iniziarono a fiorire idee straordinarie e le start up portarono un’aria nuova di cultura innovativa e con essa arrivarono i primi finanziamenti. Questa nuova fase della banca nata nella cultura della Silicon Valley innovativa rapidamente si contrappose ai rivali di Wall Street. SVB crebbe rapidamente, insieme ai propri assistiti, ma sempre facendo del pericolo il suo mestiere. Perse 2,2 milioni di dollari nel 1992, per il crollo del mercato edilizio in California, ma si risollevò assumendo John Dean come nuovo ceo. Nel 1995 aprì la sede a Santa Clara, e ancora ad Atlanta, Delaware, Florida. Quando nel 2001 scoppiò la bolla delle dot-com perse il 50% del valore del suo titolo ma sopravvisse, ancora una volta, allargandosi al settore del private banking. Quindi si mosse all'estero, aprendo sedi in India, Londra, Israele e Cina, sempre con l'idea di aiutare il bacino locale delle start up, ripetendo ovunque il modello California.

La crisi del 2008 l'aveva colpita come tutti, ricevendo 235 milioni di aiuto dal Troubled Asset Relief Program, ma ancora una volta era resuscitata, sotto la guida del ceo Greg Becker, arrivando a quasi 10.000 dipendenti, 211 miliardi di asset, e un quarto del mercato della Silicon Valley. Fino all'errore fatale di non vedere il cigno nero del covid, l'inflazione, e perdere la partita con la Fed sui tassi d’interesse.

Ora ci si chiede se il caso SVB sia un caso isolato o la punta di un iceberg che minaccia di affondare l'economia globale? Ed è proprio questa domanda che rovina il weekend di tutti gli operatori, in attesa di vedere se domani alla riapertura dei mercati il contagio per la chiusura della Silicon Valley Bank si diffonderà ad altri istituti e altri continenti. Al momento la risposta prevalente è che le caratteristiche specifiche di SVB dovrebbero farne un caso isolato tra le banche, senza generare un catastrofico effetto domino, ma questo non esclude altri fallimenti o problemi simili in vari settori.

Per capire bisogna partire dalle origini della crisi. Prima del Covid, alla fine del 2019, i depositi presso la SVB erano triplicati, da 62 a 189 miliardi di dollari, grazie all'esplosione delle start up tecnologiche. La banca aveva investito larga parte di questi fondi in obbligazioni del Tesoro, che fruttavano in media l'1,79%. Quando nel marzo scorso la Federal Reserve iniziò ad alzare i tassi per frenare l'inflazione, SVB subì due effetti molto negativi: il valore dei bond nel suo portafoglio era sceso, creando significative perdite sulla carta; le compagnie tecnologiche e le start up che costituivano il grosso della sua clientela si trovarono in difficoltà, iniziando i prelievi. La settimana scorsa l'agenzia Moody's aveva chiamato la banca per avvertirla che stava per abbassare il suo rating, a causa di questi problemi. Il ceo Greg Becker era corso a New York per incontrare i consiglieri a Goldman Sachs e definire un piano di salvataggio. La soluzione individuata prevedeva la vendita di obbligazioni per circa 21 miliardi di dollari, da reinvestire subito in bond che grazie all'aumento del costo del denaro fruttavano sopra il 4%. Questa operazione avrebbe generato una perdita di 1,8 miliardi, che avrebbe dovuto essere ripianata con l’emissione di nuove azioni per 2,25 miliardi con la compagnia di private equity General Atlantic già impegnata a comprarne 500 milioni. Il salvataggio però non è stato gestito bene, si è diffusa la voce del buco e le compagnie di venture capital consigliarono ai clienti di ritirare i fondi al punto che nella sola giornata di giovedì la banca dovette fronteggiare richieste per 42 miliardi. Questo spiega perché si tratta di un caso molto specifico. Detto ciò, le condizioni esterne che hanno contribuito a crearlo valgono per tanti altri settori che alimentano nuove preoccupazioni.

Il primo problema sta nell’amministrazione Trump che aveva alleggerito le regole di sicurezza imposte alle banche dopo la crisi del 2008, in particolare per quelle regionali o con un asset sotto i 700 miliardi. Questo ha creato le condizioni per un potenziale comportamento irresponsabile di altri istituti con il conseguente calo in borsa di First Republic.

Il secondo è che la Fed sta mettendo sotto pressione molti settori. Goldman Sachs calcola che nell'edilizia commerciale sono in circolazione 60 miliardi di prestiti a tasso fisso che andranno rifinanziati a breve a condizioni più costose e 140 miliardi di mutui a tasso variabile che maturano nei prossimi due anni. Il Columbia Property Trust di Pimco ha appena fatto un default da 1,7 miliardi, e la borsa sta punendo i titoli delle REIT di compagnie come Vornado, Boston Properties e Alexandria Real Estate.

Il terzo problema è cosa fare con ciò che resta di SVB. La Federal Deposit Insurance Corporation che ne ha preso il controllo cerca acquirenti, ma non manca chi chiede al governo Usa di gestire il salvataggio per evitare già domani un effetto domino, incluse aziende come Rippling che non sanno come fare i pagamenti. Il primo a farsi avanti è stato Elon Musk: "Sono aperto all'idea che Twitter acquisti la banca", ha detto (naturalmente su Twitter). Che sia una boutade o un'intenzione seria non è chiaro, ma anche l'acquisto di Twitter da parte del patron di Tesla all'inizio sembrava impossibile.

Il quarto problema sono le reazioni negative già in corso a livello globale, con la Bank of England che chiede lo stato di insolvenza per SVB UK, o l'India che teme per gli investimenti nelle sue imprese come Flipkart, Ola, Zomato, o start up tipo Bluestone e PayTM. Per non parlare poi delle pressioni sulle criptovalute come USDC, Pax Dollar o Dai. Per la resa dei conti, e capire l'entità del danno, bisognerà aspettare domani.

Ecco la sintesi di alcuni giorni di fuoco che hanno acceso una nuova miccia nella già precaria situazione finanziaria internazionale, con la speranza che questo fuoco rimanga circoscritto e non funga da catalizzatore per una spinta che vada a colpire altre istituzioni bancarie Usa, magari più consistenti, con la capacità di estendere questo nuovo malessere a livello globale, bissando quell’infernale 2008.


Venezia, lì 12 marzo 2023

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